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La storia dello Stato italiano è per il giudice della Corte Costituzionale Sabino Cassese una storia di delegittimazione della sua autorità. La classe dirigente ha storicamente delegittimato i poteri statali per asservirli a sé stessa.

Siamo davvero entrati nell'era della Terza Repubblica? Secondo il giudice della Corte Costituzionale ed ex ministro della funzione pubblica al tempo dell'allora governo Ciampi, Sabino Cassese, No.

Al di là infatti delle apparenze, della retorica della rottamazione sbandierata sopratutto dall'emergente classe politica attuale, e al di là di ogni affermazione politicaly correct, la realtà nel Bel Paese è sempre la stessa, così come i difetti della governance che di fatto reiterano di generazione in generazione lacune ed incapacità di gestione che fanno del nostro Stato, così come del nostro apparato amministrativo, una struttura lenta, macchinosa, perdi tempo, lassista, immutabile, diciamo pure senza speranze.

Non si creda infatti che l'esigenza di modernità sia un bisogno esclusivo delle nuove generazioni, che la necessità di avere uno Stato al passo coi tempi sia un dovere della globalizzazione, ma spiega il giudice nel suo ultimo lavoro editoriale 'Governare gli italiani, storia dello Stato' pubblicato dalla casa editrice il Mulino, è un sentire che accompagna 'l'italianità' sin dalla sua origine, ovvero a partire dalla nascita stessa dello Stato.

Non rappresenta infatti una novità per il giudice 'lamentarsi in Italia, una lamentela che a ben vedere si estende non solo nel tempo storico, essendo costante di generazione in generazione, ma anche nella dimensione sociale, essendo presente tanto nelle periferie, quanto ai vertici della scala sociale.

Cosa, dunque, determina questo spirito storico, a ben vedere più distruttivo che costruttivo, cosa unisce la volontà di rottamazione che fu della classe dirigente degli anni 50' con quella di Matteo Renzi, per restare alla fine sempre nella medesima condizione di partenza?

E' ciò che prova a spiegare Cassese nel suo ultimo saggio ripercorrendo della storia amministrativa della Repubblica le tappe fondamentali, di cui scorge un tratto fondamentale per capire alla base le cause che hanno determinato trasversalmente una siffatta sfiducia della società nello Stato; se la classe politica ha una colpa, allora spiega Cassese questa è una colpa morale, perchè anziché legittimare nel trapasso delle generazioni l'autorità dello Stato, ha preferito delegittimarlo per asservirlo a sé stessa, corrodendo in tal maniera non solo il credito della sua autorità agli occhi del cittadino qualunque, ma di fatto la sua stessa efficienza organizzativa.

In pratica dall'Unità d'Italia ad oggi si è costruito uno Stato senza Nazione, ovvero un forte apparato burocratico centrale dispensatore di potere ma vuoto della sua carica spirituale, una condizione in astratto che tuttavia spiega perfettamente la contingenza del presente.

Si tratta della palese natura contraddittoria dello spirito italico moderno che ha tuttavia una radice nella Storia, essendo diretta discendente delle ideologie che condussero all'Unità d'Italia, che credevano per l'appunto nella centralità dei poteri forti dello Stato, nel bisogno di una struttura in senso assoluto dell'apparato amministrativo, senza tuttavia essere pronti come popolo, come Nazione, e quindi come unità della tradizione, della lingua, della cultura.

Un deficit culturale che per il giudice Cassese è rimasto immutato nel tempo, anzi si è ulteriormente rafforzato fino a divenire manifesto con l'attuale classe dirigente che più di ogni altra generazione delegittima l'autorità dello Stato per asservirlo a sé stessa; è a partire da ciò, quindi, che si comprende la sfiducia di Cassese sul cambiamento che la nuova dirigenza promette da qualche tempo a questa parte.

Secondo infatti le teorie appena esposte la rottamazione sbandierata da più forze politiche, l'esigenza di gioventù nella rappresentanza e nei luoghi del potere, non sono che una nuova riproposizione dalle tinte giovanili degli antichi deficit della classe dirigente italiana, che anziché adoperare i poteri conferitogli per incrementare lo spirito della Nazione, pensa bene di servirsene per assoggettarlo ai propri interessi.

La volontà ad esempio di Renzi, ma anche del sindaco di Verona Flavio Tosi di voler sopprimere Province, così come le sovraintendenze per i beni e le attività culturali, secondo i quali sono un intralcio, vanno lette alla luce di quanto fin'ora detto, ovvero come volontà di delegittimazione dell'autorità amministrativa dello Stato per asservirlo ai propri poteri, quindi, spiega Cassese, spesso chi se la prende con le Soprintendenze o ne reclama l’abolizione, non punta su una maggior funzionalità dell’amministrazione, ma sul suo totale asservimento alla politica.

Così facendo non sorprenda quindi che con il tempo si sia fatta strada nell'opinione pubblica l'idea secondo la quale il privato è meglio del pubblico, anzi è la normale conseguenza che si genera dopo decenni di cattiva pubblicità sull'efficienza dello Stato, dopo anni attraverso i quali l'opinione dominante è che se si vuol fare una cosa seria, serviamoci di tutto, tranne che degli organi dello Stato.

Senza uno Stato vero, forte, autorevole neppure lo sforzo economico dei privati, spacciato per modernismo, può essere tuttavia produttivo; di fronte infatti ad uno Stato che recita una parte marginale, consapevole dei propri difetti anche propriamente amministrativi, i privati continueranno da una parte l'opera di delegittimazione dell'efficienza dello Stato, dall'altra a curare i propri interessi, a tutto svantaggio naturalmente del bene comune. 'Lo Stato svaluta se stesso, delega funzioni a terzi e assume non per competenza e merito, ma secondo appartenenze e fedeltà', spiega l'ex ministro.

Ritenere dunque che i privati possano rimediare all'assenza dello Stato è una pura utopia secondo Cassese, e ciò è dimostrabile a partire dallo stato di disastro in cui versa il nostro patrimonio culturale ed artistico, che anziché essere valorizzato così come dovrebbe, a partire da una riforma delle competenze delle Sovraintendenze, uffici amministrativi utilizzati oggi dalla dirigenza più per piazzare i propri 'discepoli' che per un effettivo lavoro di valorizzazione dei beni, aspetta speranzoso l'intervento esterno di qualcuno perchè possa rallentarne il declino; al Louvre o al Metropolitan a nessuno verrebbe in mente di appaltare una mostra a un privato.

Perchè si possa uscire da questo vicolo cieco la vera rivoluzione che l'Italia dovrebbe intraprendere, spiega Cassese, è quindi un'emancipazione dello Stato, e non un suo ritiro dalla vita pubblica così come è sempre stato sin dalla sua nascita; solo il buon funzionamento delle istituzioni, la legittimazione del suo potere agli occhi della nazione e una classe politica meno 'schiava' del potere e più attenta alla buona gestione della Cosa Pubblica può davvero cambiare il corso degli eventi, così come il sentire comune.

 Il giudice Sabino Cassese:” Lo Stato non funziona perchè la classe politica vuole delegittimarlo”
Tag(s) : #economia, #etica, #libri
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