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L'ideologia dell'anticonsumismo forzato non è la soluzione ai problemi dell'inquinamento globale.

Sono costanti ormai gli allarmi sull'insostenibilità dello sviluppo: è notizia di solo pochi giorni fa l'ultimo bollettino dell'Organizzazione mondiale della sanità in materia di decessi ascrivibili agli effetti dell'inquinamento sulla salute umana, quantificato nel numero di sette milioni di persone che ogni anno muoiono per cause connesse con l'aria che respiriamo.

Qualche tempo più addietro, a novembre per l'esattezza, uno studio finanziato dall'Unione Europea, chiamato Impact2C, affermava che se il trend del riscaldamento globale non dovesse arrestarsi, tra il 2030 e il 2050 in Europa si registreranno costantemente e in forma irreversibile in media 2 gradi in più rispetto alle condizioni atmosferiche dell'Europa preindustrializzata, una previsione che se dovesse avere conferma metterebbe naturalmente a rischio interi settori chiave della società e delle economie locali.

Sono evidenti quindi gli effetti del riscaldamento globale tanto sulla nostra salute, quanto sull'economia, avendo un tale fenomeno necessariamente delle ricadute sugli aspetti contingenti della produzione delle merci, eppure poco o nulla si dice su quella che è a conti fatti la vera causa a fondamento di questa realtà, ovvero l'esponenziale aumento demografico della popolazione mondiale, a ben vedere il vero valore che a conti fatti si presenta come insostenibile.

A partire da questa realtà si può quindi spiegare la miopia di molte soluzioni fin qui proposte per un ripristino della sostenibilità dello sviluppo, senza poi intaccare i livelli occupazionali che ad una tale produzione si correlano; bisogna accettare all'origine un presupposto di per sé contraddittorio, ciò che è buono per l'ambiente può non esserlo per il profitto, e così il suo contrario.

D'altronde se c'è una cosa che può essere osservata sia da un punto di vista storico che squisitamente empirico, è che la ricchezza dei Paesi cd. Occidentale si è basata da sempre sullo sfruttamento illimitato ed irrazionale delle risorse naturali, da cui ne segue che tutta la struttura di una data economia è essa stessa fondata sullo stesso sfruttamento, per cui non si può ritenere che un cambiamento dei modi della produzione, così come viene detto dalla green economy, non abbia poi della ricadute in termini economici e, in ultima istanza, occupazionali.

Minimizzare i consumi, sopratutto quando a propagandare un siffatto costume sono i Paesi Occidentali che hanno portato l'ambiente al collasso e con esso le economie, in vista della tutela ambientale, non tiene conto dei veri effetti che una tale prassi avrà tanto a livello locale, aprendo di fatto ad una spirale negativa per l'intera economia di una Nazione, quanto a livello globale ed internazionale, costituendosi come nuovo ostacolo per l'emancipazione dei cd. Paesi emergenti che di fatto aspettano solo di consumare.

E' ciò che risulta anche da uno studio di Andrew Brooks, docente di economia al King College di Londra, che analizzando le importazioni dall'Occidente di vestiti usati nei Paesi Africani, ha notato che la valida concorrenza del mercato dei vestiti dell'usato nelle varie economie, è ciò che ne ha impedito l'emancipazione, la capacità di progettare da sé una propria industria tessile, restando così nell'eterno stato di subalternità. Spiega il professore: “La tua t-shirt può essere davvero molto conveniente da comprare per qualcuno, ma sarebbe meglio se quella persona potesse comprare una t -shirt prodotta localmente, così che il denaro rimanga nella propria economia aiutando a generare posti di lavoro ".

Come a dire, mentre le politiche di riciclaggio sono buone per l'ambiente, non sempre lo sono in termini di lotta alla povertà, tanto locale quanto mondiale.Le politiche ambientaliste sembrano infatti voler conciliare due realtà in sé incompatibili: da una parte produrre energia pulita a buon mercato, dall'altro mantenere alto il livello occupazionale. Purtroppo uno dei due termini non risponde a verità, perchè di fatto la popolazione cresce esponenzialmente di anno in anno, allargando quindi la dimensione dei consumatori e quindi dello sfruttamento delle risorse, e perchè l'efficienza tecnologica sarà un fardello con la quale l'occupazione farà necessariamente i conti. Quindi?

Ci trova difronte ad un'aporia, ovvero ciò che non può essere risolto dalla sola Ragione; naturalmente ci deve appellare al buon senso, favorire politiche di contenimento dell'espansione demografica, così come si presenta come un dovere morale combattere la povertà, sopratutto quando la povertà priva la condizione umana di una qualsiasi sua dignità, così come si assiste ancora nei Paesi emergenti di cui bisogna favorire l'emancipazione e sopratutto l'acquisizione di quelle conoscenze indispensabili per una produzione pulita per l'ambiente. Se solo si facesse a quante spese frivole si fanno ogni giorno, e così negli anni, è probabile che non ci troveremmo nella condizione di dover scegliere, ma questo sembra già un utopia.

 Perchè l'anticonsumismo non è una soluzione
Tag(s) : #etica, #economia, #ambiente
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